Urban Center. Luoghi di elaborazione e proposta sullo spazio comune.

Nella attuale società di minoranze, l’agorà, la piazza, il centro civico, non costituiscono più spazio di rappresentanza e rappresentazione.

Gli Urban Center e le “Case della città”, pur nella loro varia natura, si propongono sulla scena urbana come luoghi di elaborazione e proposta sullo spazio comune, innescando processi di democrazia partecipativa attraverso la dialettica tra i diversi portatori di interesse.

Il libro curato da Bruno Monardo ne ripercorre le diverse genealogie, dalle esperienze americane su forte base volontaria (associazioni non profit, istituzioni universitarie) a quelle europee generalmente legate a dei soggetti pubblici radicati (amministrazioni locali o soggetti misti); “ma la trasparenza della formazione del quadro decisionale resta l’obiettivo comune e gli Urban Center dovrebbero rappresentare in tal senso le autentiche case di vetro per la costruzione condivisa delle politiche di trasformazione della città”.

Un aspetto particolarmente interessante trattato nel volume riguarda la correlazione tra attività comunicativa a carico degli Urban Center ed effettivo livello di coinvolgimento della società civile nelle scelte, secondo la scala proposta da S.R. Arnstein, in un saggio di quaranta anni orsono. Non è questione di poco conto, in quanto gli aspetti di una comunicazione partecipativa, argomentativa e cooperativa, assumono il valore di uno stimolo sostanziale e non meramente retorico nei riguardi della cittadinanza; solo così la costruzione delle linee guida delle politiche urbane può assumere il carattere di una legittimazione “condivisa” per le strategie di trasformazione.
Correntemente in Italia la partecipazione tende ancora ad essere intesa come strumento del consenso intorno alla pianificazione istituzionale, o all’opposto agitata come protesta e rifiuto degli strumenti in itinere, mentre più rare sono le esperienze di progettazione partecipata confluite come risorsa all’interno di processi di “costruzione sociale del piano”; nel caso di Roma, ad esempio, l’universo comunicativo-partecipativo ha conosciuto esperienze piuttosto frammentarie ed eterogenee legate ai laboratori di progettazione partecipata, che hanno gestito singoli segmenti dei processi di rigenerazione urbana.

Ma nel protagonismo della “cittadinanza attiva” vi è anche dell’altro: gli itinerari di “condivisione delle scelte” praticati soprattutto all’estero dimostrano di fatto che la sfera politica e quella tecnica su cui si sono tradizionalmente basati i processi decisionali, sotto i colpi di una critica serrata da parte della riflessione militante, hanno conosciuto un riposizionamento o, come dice Monardo, una “migrazione” del modello autoritativo verso la dimensione negozial-consensuale per la costruzione degli strumenti di governo delle trasformazioni insediative.
In questa ottica, l’irruzione della dimensione dialogica nella costruzione degli scenari territoriali sembra costituirsi come qualcosa di più che un espediente in stretta connessione con il rituale richiamo a criteri di efficienza ed ai principi di sussidiarietà e partenariato che hanno sostanziato ad esempio il passaggio ai meccanismi di copianificazione tra enti locali: si tratta di un vero mutamento di orizzonte, che ponendo in discussione il determinismo dei tradizionali dispositivi analitici, ricerca altrove la propria evidenza, e soprattutto le condizioni di fattibilità in funzione dell’ampliamento della comunità di riferimento delle scelte. Ciò non comporta semplicemente una rivisitazione di linguaggi e forme espressive normalmente cadenzati su tecniche grafiche di tipo convenzionale, ma connette strettamente questioni di rappresentazione e di rappresentanza, e quindi attiene direttamente al principio stesso di democrazia.

Se gli Urban Center si candidano ad essere degli osservatori-incubatori di nuova socialità, preme sottolineare come la partecipazione allargata, che è entrata oramai nelle forme di “social network” tra gruppi integrati accomunati da obiettivi specifici modificando radicalmente i modelli comunicativi del passato, debba costituirsi come strumento di costruzione del legame sociale e non come mero fine: ci auguriamo che questa sfida li trovi preparati.

Pubblicato in "Fenomeno" Urban Center