Urban Center: una casa di vetro per le politiche urbane

Con il termine Urban Center si è designato negli ultimi decenni un insieme di strutture di diverso tipo, inizialmente presenti per lo più in paesi anglosassoni, talvolta emanazione diretta delle istituzioni locali di governo della città, nate per svolgere un’attività di servizio nei confronti degli attori mobilitati (o potenzialmente interessati) nei processi decisionali delle politiche urbane, con lo scopo di migliorarne il livello d’informazione, conoscenza, trasparenza, partecipazione, condivisione, effettività.

La declinazione degli Urban Centers deriva dalle diverse “missioni” che i soggetti ispiratori perseguono; l’evoluzione delle interpretazioni date a queste iniziative è strettamente correlata alla moltiplicazione degli attori che in tempi relativamente recenti si è prodotta nell’arena urbana.

Nei modelli cui il nostro paese si è riferito per la costruzione di tali strutture (in tempi relativamente recenti), il ruolo di motore è stato ascritto, generalmente, alle istituzioni del governo locale della città, orientate alla coagulazione del consenso sulla formazione e maturazione dei contenuti delle politiche di sviluppo socio-economico, qualificazione ambientale e trasformazione fisico-spaziale.

Tuttavia, a ben vedere (ed è questo uno dei nodi fondamentali del tema), per una piena comprensione del fenomeno e delle sue forme evolutive mature bisogna gettare lo sguardo oltreoceano, riferendosi ad alcune esperienze di successo negli Stati Uniti. Da una rapida ricognizione storico-ricostruttiva, infatti, emergono alcune chiavi interpretative che fanno degli Urban Center statunitensi dei modelli sostantivi cui guardare con interesse, non tanto ai fini di una trasferibilità tout court di forme organizzative e contenuti, quanto per la capacità di estendere democrazia partecipativa e capacità critico-propositiva all’intera comunità urbana, fin nelle frange socialmente più border-line.

Negli USA i modelli ispiratori di maggior interesse riguardano i soggetti emergenti in grado di influenzare in modo significativo il panel delle decisioni sugli scenari di sviluppo delle comunità urbane. Tra questi, sono enumerabili casi di associazioni no-profit, sorta di think-tank impegnati in attività di ricerca, analisi e promozione sulle politiche pubbliche, animati spesso da simbiosi tra cittadini e imprese con l’obiettivo primario di accrescere la vivibilità della città e al tempo stesso promuoverne la vitalità economica (come nel caso dello SPUR di San Francisco). Oppure, i “Centri di advocacy” sostenuti sovente da istituzioni universitarie a scopi eminentemente maieutico-sociali, quali accrescere la capacità delle comunità a basso reddito di sviluppare soluzioni innovative alle sfide fisiche, socio-economiche e ambientali con cui sono chiamate a confrontarsi (come nel PICCED di New York Brooklyn).

Dalla varietà di missioni discendono, dunque, le articolazioni funzionali che le strutture possono assumere, tra cui:

  • un centro di documentazione/esposizione, che si muove tra orizzonti temporali diversi, il “tempo reale”, che dà luogo a una vetrina su quel che si pianifica o si realizza, con la necessità di risolvere le questioni relative ai media comunicativi, e il tempo”storico”, che produce una mostra/archivio permanente sulla vicenda urbana dal passato al presente;
  • un centro organizzatore di dibattiti su politiche, piani, programmi e progetti, aperto ai diversi campi di discussione; da segnalare, in particolare, lo sviluppo esponenziale di strutture collegate al complesso ciclo di operazioni di carattere gestionale connesse alla redazione dei piani strategici metropolitani e urbani, sull’esempio di alcuni casi pilota in Europa;
  • un incubatore di iniziative di “auto-conoscenza” del territorio e di attivazione locale per la costruzione di ricerche, laboratori di quartiere, concorsi, etc.

L’evoluzione recente anche in Italia degli Urban Center, seguendo gli sviluppi già consolidati da alcuni decenni a partire dalle prime sperimentazioni in Usa e successivamente in Europa, ha messo in evidenza come il ruolo di queste strutture non possa limitarsi a mero luogo di discussione di politiche, piani, programmi o progetti già preconfezionati nel chiuso delle stanze degli esperti, degli uffici comunali o negli studi delle associazioni imprenditoriali e dunque come espressione autonoma dell’attività tecnica esperta che solo nominalmente viene poi sottoposta ai soggetti d’interesse diffuso dell’arena urbana. Si tratta, invece, di mettere in discussione le questioni nodali che possono inverare gli scenari di trasformazione della città fin dalla radice, quando si forma il meccanismo di configurazione delle politiche, prima ancora della decisione.

La nuova missione che sembra poter costituire il denominatore comune di queste iniziative nelle loro diverse denominazioni e declinazioni (Urban Center, Casa della Città, Centro espositivo e di documentazione urbana, etc.) s’incardina su uno “stile” dell’iter di costruzione delle scelte, nato dalla crisi del “modello dirigista”, che era basato in generale sul riduzionismo della complessità del processo decisionale.

Si tratta, al contrario, di una strategia che assume la complessità come valore aggiunto, operando con le risorse e i poteri ordinari per mettere in luce e gestire organicamente i conflitti anziché occultarli, nella convinzione che l’apertura del processo decisionale, fin dalle sue fasi iniziali, alla partecipazione di tutti i soggetti portatori di interessi dominanti (ma anche recessivi) sia fonte di arricchimento per esiti consapevoli e condivisi delle trasformazioni della città e del territorio.

Tuttavia, se le sperimentazioni in atto convergono in prospettiva sul ruolo degli Urban Center quali catalizzatori e luoghi privilegiati per la discussione e formazione delle politiche di sviluppo della città, la questione della “neutralità” ed equidistanza dagli interessi, pubblici o privati, appare il nodo gordiano che le comunità civiche sono chiamate a sciogliere, facendo tesoro della “lezione americana”.

[Autore: Bruno Monardo – articolo pubblicato su “Urbanistica Informazioni” n. 209, 2006, pag 53-54]

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